Ragioni estetiche e culturali
Già le più antiche civiltà coltivavano piante per scopo ornamentale; i Cinesi, gli Egizi, gli Arabi e i Romani hanno creato meravigliosi giardini ornamentali, con l’unico scopo di allietare lo spirito (Bowes, 1999). Un’informazione utile ci viene da Senofonte che, per descrivere i giardini pensili babilonesi, usa il termine “paradeisos”, parola che deriva dal persiano “giardino del Re” e non il termine greco “gortos”, che definisce un luogo dove crescono indistintamente piante coltivate perché utili o perché belle. È con Alessandro prima e con i Romani poi che il concetto orientale di giardino entra nella società occidentale
Plino il Vecchio nella Naturalis Historia ricorda che presso i Romani erano utilizzate rose, violette, anemoni, giacinti ed altre specie come piante ornamentali e il giardino era un luogo di relazione sociale e civile. Nel corso dei secoli, il giardino si afferma come vero e proprio elemento architettonico di abitazioni e dell’arredo urbano oltre che come luogo di ritrovo e di conversazione.
Oggi le piante non sono considerate solo come arredo di luoghi artificiali ma sono apprezzate anche nel loro ambiente naturale. Molta gente prova un grande piacere e un senso di tranquillità a passeggiare in campagna o in un bosco a diretto contatto con le piante, e molti dei passatempi che pratichiamo per sfuggire all’ansia della vita quotidiana hanno come oggetto o come ambiente la natura (giardinaggio, trekking, pesca, caccia, ed altro).
Ragioni economiche
La gente si serve delle piante per molti aspetti della vita e questo crea un mercato. L’utilizzo principale delle piante, e quindi il mercato più cospicuo, è sicuramente legato all’alimentazione.
Delle 75.000 piante eduli presenti in natura ne sono state usate circa 3.000, ma quelle coltivate e commercializzate sono molto meno (Bowes, 1999). La maggior parte dei cibi che utilizziamo deriva da sole 20 specie (Wilson, 1992), mentre metà della popolazione mondiale dipende solo dalla produzione di riso. Nel 2003, secondo l’International Rice Research Institute, è stato esportato riso macinato a livello mondiale per un valore di 5,6 miliardi di euro. Per questi grandi interessi economici che entrano in gioco, la ricerca attuale si interessa anche della conservazione di antiche varietà (Foto4) e di specie affini da utilizzare per la produzione di nuove cultivar commerciali.
Le piante sono una risorsa in tal senso anche per l’industria farmaceutica: il 25% dei principi attivi usati per la produzione di farmaci deriva da piante (Bowes, 1999). Recenti stime riportano che le specie utilizzate in farmaceutica rendono in media dai 19 ai 35 milioni di euro all’anno. Fino ad ora le specie analizzate per valutarne il possibile utilizzo in medicina sono decisamente poche se paragonate al numero di piante conosciute, e ancor meno se confrontate con il numero di quelle stimate. Altri interessi economici minori sono legati alla produzione di pesticidi e antiparassitari e alla floricoltura, che nel 2005 in Italia ha fatturato 2,3 miliardi di euro.
Ragioni scientifiche
Lo studio delle piante e degli animali, sia viventi sia fossili, e il loro confronto ci permettono di formulare ipotesi sulla storia del nostro pianeta. La conoscenza di quello che è accaduto, anche in epoche remote, ci consente di fare previsioni e di stabilire modelli utili per migliorare le nostre condizioni di vita o per affrontare situazioni ricorrenti nella storia della vita sulla terra (cambiamenti climatici, estinzioni di massa, ecc.). Perché queste previsioni siano attendibili è essenziale che gli studi siano condotti in zone dove le alterazioni causate dall’uomo sono ancora limitate.
Ragioni morali
Da sempre la filosofia si è interrogata sul rapporto tra natura e uomo. La concezione meccanicistica, che raggiunse il suo apice nel XVII secolo con Bacone e Cartesio, prevedeva la possibilità di dominare la natura tramite la scienza e la tecnologia. Secondo questa visione la natura non era altro che un’immensa macchina e lo scopo della scienza era quello di individuare i principi matematici che ne sono alla base. Le scoperte scientifiche del ‘900, però, misero in crisi questa visione. Gli scienziati si resero conto di studiare relazioni che interagiscono in un sistema complesso. Si formò l’idea di un sistema vivente, definito come unità complessa e non caratterizzato dalla semplice somma delle sue parti costitutive.
Il pensiero oggi molto diffuso di essere vivente è legato più al mondo animale che al mondo vegetale e da ciò possono derivare molti comportamenti dell’uomo moderno.
Non deve poi essere dimenticato l’aspetto religioso che da sempre esiste tra uomo e natura e che è riconosciuto da tutte le culture del mondo. In riferimento a questo elemento comune le principali confessioni si sono interrogate ad Assisi nel 1986 sul rapporto dell’uomo con l’ambiente e sulla funzione che l’individuo deve svolgere nei suoi confronti.
In conclusione possiamo dire che anche se spesso ce ne dimentichiamo, le piante sono la fonte primaria di energia della biosfera, cioè dell’ambiente in cui viviamo, e quindi sono la base della vita sulla terra. Esse sostengono e mantengono la vita fornendo cibo, ossigeno e riparo agli altri esseri viventi; inoltre giocano un ruolo fondamentale nella regolazione del clima. L’importanza che i vegetali hanno per gli esseri umani è anche maggiore, in quanto forniscono materie prime per molte attività e sono utilizzate per trarne giovamento estetico e spirituale. Il problema della conservazione del mondo vegetale non è quello di non sfruttare questa risorsa ma quello di trovare il modo di utilizzarla con criterio e cognizione di causa.
Letteratura citata:
Bowes B.G. (1999). A Colour Atlas of Plant Propagation and Conservation. Manson Publishing, London.
Wilson E.O. (1992). The Diversity of Life. Allen Lane (The Penguin Press), London.
Fonti:
Minuto L., Casazza G. (2006). Conservazione della diversità vegetale – Attività ed iniziative in Liguria. Microart’s S.p.A., Recco (Ge).