In termini generali le iniziative per la protezione della biodiversità possono essere divise in tre fasi: proteggere la biodiversità, studiarla e promuoverne un utilizzo equo e sostenibile.
L’articolo 8 della CBD (Convention on Biological Diversity) (UNEP/SCBD, 2005) fornisce un buon inquadramento dei fini e delle tecniche della conservazione in situ, poiché invita ogni nazione a provvedere il più possibile a stabilire un sistema di aree protette nelle quali siano adottate misure speciali per conservare la diversità biologica (es. in Europa attuato con Rete Natura 2000). L’articolo suggerisce inoltre di sviluppare linee guida per la gestione del sistema e di promuovere la protezione degli ecosistemi e di ciò che in essi è contenuto (habitat e popolazioni). Invita anche a controllare o ad eliminare le specie aliene che mettono in pericolo gli ecosistemi, gli habitat o le specie (Bowes, 1999).
Per una buona conservazione in situ è necessario adottare delle misure atte a salvaguardare la rete di relazioni che caratterizzano l’ambiente da proteggere. Il presupposto base per la gestione dell’ecosistema sta nel riconoscere che esso non può non cambiare, ma è un’entità viva formata da esseri viventi che interagiscono fra di loro. I piani di gestione per essere funzionali alla protezione devono tener conto di questo presupposto.
I cambiamenti graduali di un ecosistema sono quelli che gli ecologi chiamano ‘successioni’. Le interrelazioni fra le varie specie e l’ambiente che le circonda cambiano in continuazione: ad esempio le giovani foreste che forniscono l’habitat idoneo per determinate specie di uccelli, quando crescono sono più adatte ad altre specie, e quindi la fauna ornitologica cambia (Bowes, 1999).
Eventi naturali come le piogge torrenziali, le tempeste, le siccità, gli incendi e altri fenomeni simili, possono provocare dei cambiamenti in un ecosistema, ma secondo molti ecologi queste influenze esterne rientrano nei normali processi che caratterizzano un ecosistema. In altre parole, il diradamento del bosco causato dagli incendi naturali sarebbe un processo normale nella successione del bosco, così come la rottura di parti della barriera corallina ad opera delle tempeste è un processo normale della barriera stessa.
Fra gli agenti esterni che inducono cambiamenti in un ecosistema rientrano anche le attività antropiche, poiché da sempre l’uomo modifica gli ambienti per utilizzarli secondo il suo interesse.
Se è necessario accettare il cambiamento come un fatto inevitabile, tuttavia la gestione ambientale prevede la possibilità di mitigare questo cambiamento o addirittura, quando e dove sia possibile, di indirizzarlo in modo vantaggioso per l’ambiente.
Uno dei problemi principali che si trova ad affrontare la gestione ambientale è la scelta tra l’intervento e il mantenimento. In questi casi normalmente si ricorre al principio di precauzione, cioè al vecchio concetto della saggezza popolare secondo il quale “è meglio essere sicuri che dover chiedere scusa”. In altre parole è meglio evitare azioni potenzialmente negative che potrebbero creare danni di cui non siamo a conoscenza.
Prima di formulare misure realistiche di conservazione sarebbe importante capire il numero di popolazioni, la loro variabilità genetica, il sistema riproduttivo e i meccanismi di dispersione dei semi.
La variabilità genetica fra le popolazioni di una specie fornisce informazioni utili sulla sua evoluzione, sui rapporti che intercorrono fra le diverse popolazioni e sulla loro capacità di adattarsi ai cambiamenti ambientali. Se vaste aree della distribuzione di una specie sono state perse, lo stesso è accaduto a molta della sua variabilità genetica, causando un danno alla capacità di adattamento ai cambiamenti.
La conoscenza della variabilità genetica e degli scambi genici fra le popolazioni è anche essenziale per stabilire l’area minima di intervento per una conservazione in situ che possa avere successo.
Storicamente la variabilità genetica di una specie era valutata indirettamente considerando la taglia, il numero, la forma e il colore di varie parti della pianta o i caratteri chimici, ecologici e fisiologici. Ma in tal senso risulta difficile distinguere i caratteri imposti dalle condizioni ambientali (umidità, temperatura, insolazione ed altro) da quelli che sono ereditari. Lo sviluppo delle moderne tecniche molecolari consente, al contrario, di quantificare le effettive differenze genetiche fra le diverse popolazioni.
Anche il sistema riproduttivo di una specie dovrebbe essere studiato prima di proporre strategie di conservazione. Le piante che si riproducono sessualmente tendono ad avere una maggiore variabilità rispetto alle piante che si autofecondano o che si riproducono anche per via asessuata.
La riproduzione sessuata può essere influenzata nelle piante dioiche (fiori maschili e fiori femminili su piante diverse) dal numero di individui per popolazioni, e nelle piante monoiche (fiori maschili e femminili sulla stessa pianta) da fenomeni di autosterilità.
Inoltre, molte specie sono impollinate da un unico tipo di insetto, quindi un calo demografico nelle popolazioni di questo insetto può creare problemi riproduttivi alla pianta. In ultimo, anche un aumento delle specie che predano i semi di una determinata pianta può causare un pericolo.
Generalmente le specie e gli habitat sono danneggiati dalle attività umane collegate a processi biologici. Gli esempi più comuni sono l’abbattimento di foreste, il sovraccarico del pascolo, gli incendi controllati, l’utilizzo di pesticidi e di fertilizzanti, l’invasione di specie esotiche e la raccolta selvaggia. A questi problemi si aggiunge la frammentazione degli habitat che sovente causa una perdita della diversità genetica, provocata da una minore attività degli impollinatori. L’erosione del suolo e gli sbancamenti rimuovono la microflora e riportano in superficie il terreno sotterraneo o la roccia madre, adatta solo alle piante pioniere dei primi stadi della vegetazione.
Nell’ultimo secolo, e in particolare negli ultimi 50 anni, in Italia si è assistito ad una progressiva diminuzione del taglio dei boschi per la raccolta del legname. Questo abbandono della gestione ha provocato un’eccessiva densità, portando a situazioni di degrado e di squilibrio. Si è assistito ad un progressivo aumento della superficie boscata, soprattutto a causa dell’abbandono dell’agricoltura, specialmente nelle zone montane. Ciò ha determinato una riduzione degli habitat aperti graditi da certe specie e ha spinto verso un’omologazione degli ecosistemi un tempo più vari.
I boschi ceduati sono un habitat controllato in cui un antico e consolidato sistema di gestione genera un’alta diversità naturale.
La cessazione di questa attività causa un’alterazione dell’equilibrio raggiunto e minaccia seriamente l’habitat di molte specie; per questo motivo la ceduazione è considerata una priorità di gestione per i boschi antichi.
Un altro fattore da considerare nella gestione degli habitat è lo stato dei nutrienti del suolo (Bowes, 1999). Le specie invasive mostrano in genere, in zone con scarsità di nutrienti, una crescita ridotta, permettendo la co-presenza di specie a crescita lenta. L’utilizzo di grandi quantità di fertilizzanti in aree botanicamente ricche causa una predominanza di alcune specie, principalmente Graminaceae, creando un impoverimento dell’area. Ovviamente questo ha ripercussioni anche sulla microfauna.
Anche il pascolo blocca l’evoluzione della vegetazione, e può essere un utile strumento per mantenere la diversità di alcune aree.
Il pascolo, in effetti, permette la sopravvivenza delle piccole specie erbacee di prato, comprese le orchidee, che altrimenti sarebbero sopraffatte dalle erbe più alte a cui seguirebbero i cespugli dei successivi stadi di sviluppo della vegetazione. Il tempo, la durata e il tipo di pascolo possono causare profonde differenze nella composizione di un habitat.
Letteratura citata
Bowes B.G. (1999). A Colour Atlas of Plant Propagation and Conservation. Manson Publishing, London.
UNEP/SCBD (2005). Handbook of the Convention on Biological Diversity: including its Cartagena protocol on biosafety. 3rd edition.
Fonti
Minuto L., Casazza G. (2006). Conservazione della diversità vegetale – Attività ed iniziative in Liguria. Microart’s S.p.A., Recco (Ge).